Beh, adesso basta. Di belle intenzioni sulla pace nel mondo sono pieni anche i concorsi di Miss Italia. (La classica domanda “di cultura” alle aspiranti miss: «E lei cosa vorrebbe?» Risposta: «lapacenelmondo»). Che il presidente degli Stati Uniti d’America ogni tanto parli come un’aspirante velina di Miss Italia, passi. Ma che vinca anche il premio Nobel per la pace senza avere ancora realizzato nulla, proprio no.
Ma ciò che risulta insopportabile sono il buonismo, la prudenza buonsensaia e l’ipocrisia dell’Occidente verso il Dalai Lama. E’ ciò che possiamo chiamare la politica delle pacche sulle spalle. In nome della pace, tutti i leader politici occidentali hanno accolto il Dalai Lama dandogli grandi pacche sulle spalle e assicurandogli la propria verbosa solidarietà. Ma nei vent’anni (vent’anni!) passati dal conferimento del Nobel per la pace al Dalai Lama, nessun Paese occidentale ha fatto passi concreti per pressare la Cina sulla questione dei diritti umani e su quella del dramma tibetano. E la ragione ovvia è che nessuno vuol compromettere i propri business nel ricco mercato cinese.
L’ultimo esempio di questa “politica delle pacche sulle spalle” è proprio Obama, che da una parte definisce il Dalai Lama “un modello” di saggezza politica e dall’altra si rifiuta di riceverlo prima di andare in Cina da Hu Jintao; lo vedrà al ritorno da Beijing, invece, quando potrà chiacchierare amabilmente con lui senza prendere impegni politici concreti. Una contraddizione che è stata rilevata, prima che dai mass media, da molti blogger, come l’ottima Orientalia4all. Eppure prosegue inarrestabile nei mass media la beatificazione di Sant’Obama (che non è stato eletto per starci simpatico bensì per fare politica concreta).
E quel che più conta, questa beatificazione copre la storica ipocrisia dell’Occidente sul Tibet e sui diritti umani in Cina.